Le gang giovanili in Italia

REPORT TRANSCRIME, OTTOBRE 2022

(Foto di Jozef Mikulcik da Pixabay)

Lo scorso mese di ottobre è stato pubblicato il Rapporto intitolato “Le Gang Giovanili in Italia”, a cura di Transcrime-Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, in collaborazione con la Direzione Centrale della Polizia Criminale del Dipartimento della Pubblica Sicurezza Ministero dell’Interno e il Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità Ministero della Giustizia.

Riportiamo, di seguito, alcuni passaggi della prefazione del report a firma della dott.ssa Gemma Tuccillo, attuale Capo Dipartimento.

«Il fenomeno dei reati di gruppo è da tempo all’attenzione della Giustizia Minorile e di Comunità.

Gli agiti definiti in genere “devianti” hanno assunto forme e modalità espressive anche molto differenti nel corso del tempo, ponendo sempre nuovi interrogativi e spunti di riflessione sia rispetto alle cause e sia, in contesti più operativi, rispetto alle risposte ed interventi socio-educativi da porre in atto.

In primo luogo, appare molto importante fare una riflessione sulla terminologia con cui si definiscono i gruppi giovanili che commettono reati: si ritiene infatti che, ad oggi, sia più adeguato parlare di “disagio giovanile”, anche relativamente ai reati di gruppo – fatta eccezione per le bande di criminalità organizzata, che rappresentano però un segmento specifico e ben definito del settore ­– piuttosto che di “devianza” in senso stretto.

La tipologia prevalente dei gruppi di minori che agiscono atti violenti o illegali si caratterizza principalmente per una scarsa strutturazione interna, per un numero esiguo di componenti e per la connotazione di “fluidità” del gruppo stesso. Non di rado, l’azione deviante è frutto di un agito immediato senza alcuna pregressa organizzazione o definizione.

È noto infatti il ruolo svolto dal gruppo in adolescenza per la costruzione dell’identità e nel processo di emancipazione rispetto al mondo adulto: oggi si assiste a numerosi atti/reati commessi da gruppi di adolescenti, appartenenti a classi sociali diverse, spesso non organizzati ed aggregati da contingenze occasionali, nei quali si evidenzia maggiormente il disagio sociale, piuttosto che una chiara volontà criminogena, e dove la commissione di reati si lega soprattutto al fatto che “ la maggior pare delle azioni compiute dagli adolescenti sono compiute insieme con altri” (Emler e Reicher, 2000).

Dunque le azioni illegali, con le più disparate modalità e di differente entità, attribuite alle cosiddette gang giovanili, così come le caratteristiche di chi le commette, presentano una notevole varietà di comportamenti che talvolta vengono associati per analogia e raggruppati nella definizione unica di “gang” ma che possono, in realtà, identificare fenomenologie estremamente diverse fra loro. In tal senso appare apprezzabile e doverosa la distinzione operata, nella ricerca, rispetto alle definizioni dei “gruppi” che violano la legge.

Dal punto di vista numerico, in realtà, le statistiche del Dipartimento Giustizia Minorile e di Comunità non rilevano, nelle serie storiche degli ultimi anni, consistenti differenze relative al numero dei reati commessi, né aumenti rispetto ai flussi di utenza dei ragazzi entrati negli IPM o presi in carico dagli USSM (fatta eccezione per il periodo della pandemia da Covid-19). Appaiono in realtà in crescita i reati commessi in gruppo.

Ciò che ha segnato una differenza ed un’evoluzione nell’ultimo decennio, rispetto ai reati commessi dagli adolescenti – sia da soli e sia in gruppo – è, piuttosto, il carattere di crescente efferatezza, violenza “gratuita” ed apparente “insensatezza” di alcune condotte, riconducibili spesso a uno/due ragazzi o a gruppi agglomerati in maniera fortuita e contingente.

Tante le possibili letture psico-sociali di queste evoluzioni – che presentano caratteri talvolta definiti come “estremi’, “radicali”, legati ad “analfabetismo delle emozioni” – […]gli esperti e i professionisti del settore propongono molteplici interpretazioni […].

Di fronte a tali fenomeni è necessario interrogarsi sulle nuove fragilità e sui nuovi linguaggi, con la consapevolezza che le risposte saranno tanto più efficaci quanto più ampio sarà […] la comprensione dei […] nuovi disagi giovanili».

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