A proposito di… solitudine ed isolamento

Foto di 愚木混株 Cdd20 da Pixabay

RIFLESSIONI E CONSIDERAZIONI

(Foto di 愚木混株 Cdd20 da Pixabay)

Recentemente Vivek Murthy (la massima autorità sanitaria degli USA quale Surgeon general of the United States e capo operativo del Public Health Service Commissioned Corps, nonché rappresentante americano presso l’OMS) ha richiamato l’attenzione pubblica sugli stili di vita americani che condividono con gli abitanti del Regno Unito il triste primato di avere il 50% della popolazione affetto da «una condizione esistenziale epidemiologica di solitudine e di isolamento». Anche la Finlandia, la Danimarca, la Norvegia e la Francia lamentano questa situazione tra i propri abitanti che raggiunge livelli davvero preoccupanti in Giappone, dove la solitudine esistenziale ha raggiunto dimensioni drammatiche e molto preoccupanti (si pensi al fenomeno del kodokushi, il morire in modo completamente solitario e spesso ignoto agli altri).

Ebbene, pare che anche in Italia le cose non vadano meglio – scrive F. Provinciali in un suo recente contributo (È la solitudine che diventa pandemia la lebbra del XXI secolo, in Il Domani d’Italia, 3 maggio 2023) visti i numeri di coloro (adulti e minori) che sono affetti da sindromi depressive o da vere e proprie patologie caratterizzate da chiusura e da incomunicabilità.

Infatti, benché si viva in una cultura che ha aumentato in modo esponenziale i livelli di comunicazione, accade spesso che non si abbia niente da dire. Una volta – disse Umberto Galimberti – «le persone per sapere qualcosa del mondo uscivano di casa, oggi rientrano in casa e si mettono davanti allo schermo, dove tutto è allestito per presentare le cose in un certo modo, da un certo punto di vista. Il dramma consiste nel fatto di non disporne di altri. I giovani vivono una cultura di riflesso, prevalentemente non elaborata su modelli dialogici e di ascolto ma preconfezionata e trasmessa dai social, omologata ma a prevalente fruizione solipsistica, mentre nei contesti metropolitani odierni vivere negli appartamenti significa “appartarsi”».

Si tratta dunque di un fenomeno sociale di deriva psicologica ma sono gli effetti sugli stili di vita che preoccupano poiché riguardano le condizioni mentali ed emotive, gli stati d’animo, i sentimenti, una progettualità esistenziale asfittica, il decadimento cognitivo in assenza di rapporti con gli altri, la qualità delle relazioni personali e sessuali, l’insonnia, la bulimia o l’anoressia, l’assenza di una misura di autostima, l’ansia, la depressione, le sindromi compulsive, l’assunzione di sostanze o di alcool fino al pensiero suicidario come unico mezzo di rimozione di uno stato di sofferenza insopportabile.

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